Lili

 A tutti coloro che amano i cani

Mi chiamo Lili.
Sono vissuta in una casa circondata da un giardino abbastanza grande da potervi correre, ma certamente troppo piccolo per chi, come me, è abituato a vasti spazi.
Ricordo che avevo un fratello: Puck; abbiamo trascorso insieme giorni felici; qualche volta, da giovani, siamo riusciti a varcare il cancello ed abbiamo corso a perdifiato; ma ciò è avvenuto raramente. Uscire dal cancello era proibito, affermavano che era pericoloso. Non ho mai capito il perché. Intorno c'erano solo campi, qualche cane chiuso, anche lui, in un recinto.

Un giorno il mio amato fratello è stato preso di peso e portato via; non l'ho più rivisto. Non ho mai capito che cosa gli fosse accaduto L'ho atteso per giorni e giorni, ma inutilmente; stavo seduta davanti al cancello sperando che tornasse: ma, ahimè, sono rimasta senza di lui. Ho sentito dire che era morto; non capisco bene che cosa significhi. So solo che Puck è partito senza più tornare.
I giorni sono scivolati via tranquilli. Controllavo che i gatti non litigassero tra loro, che qualcuno non si avvicinasse al recinto. Trascorrevo i lunghi, caldi pomeriggi estivi sul terrazzo a godermi l'ombra; durante la brutta stagione stavo nel soggiorno distesa sulla mia poltrona.
Mi sentivo un po' sola. Per lunghe ore in casa non c'era nessuno, però ero certa che tutti sarebbero ritornati. Quest'anno, qualche mese fa, ho sentito uno strano formicolio nelle ossa, poi ho cominciato a zoppicare; mi hanno portato da quel signore con il camice bianco che già altre volte mi aveva visitato.
È stato tranquillizzante: avevo una distorsione alla zampa; qualche pastiglia e tutto sarebbe finito.
Ma così non è stato. I dolori continuavano.
Sono tornata dal quel signore con il camice bianco che mi ha tolto prima un dito e poi un altro al piede sinistro.
A questo punto, con aria grave, ha detto "Non c'è niente da fare, è meglio un'iniezione". Ha pronunziato tali parole con un tono che mi si è stretto il cuore.
Sono tornata a casa affranta.
Una chiara mattina di giugno, mi hanno fatto salire in macchina per portarmi in una grande città: Torino dove, dicevano, c'era uno di quei signori che indossano il camice bianco particolarmente bravo. Il viaggio è stato lungo e faticoso, sono arrivata in una città caotica; faceva un caldo afoso.
Ero stremata. Mi sono guardata attorno smarrita, dov'ero?
Mi hanno accompagnato in una sala con tanti strani oggetti, mi hanno palpeggiato tutto il corpo, quindi il signore con il camice bianco ha affermato che era meglio fare un'iniezione, che tutto era inutile.
Sono uscita disperata; il ritorno è stato un supplizio.
Finalmente sono arrivata a casa, mi sono distesa nel soggiorno, sogguardando dalla finestra l'immenso ciliegio; la sua ombra mandava un po' di frescura.
Ho sentito che in casa dicevano "non si fa alcuna iniezione, Lili si cura"; e, infatti, hanno cominciato a darmi delle strane pastiglie bianche. Io, dapprima, avevo paura; ma, a poco a poco, mi sono tranquillizzata. Provavo un certo sollievo.
Poi, un giorno, mi hanno dato un nuovo tipo di carne, l'ho mangiata con gusto, era veramente appetitosa; mi offrono anche le fragole che adora e del gelato squisito che comprano da una gentile signora che ama noi animali. Ma ciò non basta a farmi tornare a correre come prima; non posso nemmeno più salire sulla mia poltrona. Resto distesa lunghe, eterne ore. Cerco di alzarmi, ma riesco solo a fare qualche passo.
Ormai non riesco più a sorvegliare i gatti, a correre nel breve spazio del giardino che prima mi sembrava molto angusto ed ora mi appare immenso; cerco solo di stare attenta che qualcuno non si avvicini al cancello, ma anche questo mi costa fatica.
Tuttavia sono contenta di poter sentire il gracidare delle rane, di godermi ancora per un poco la compagnia di chi mi ama. A volte li guardo con tristezza, vorrei tanto restare con loro, ma una forza oscura mi sta trascinando via, inesorabilmente.
Cercano di consolarmi, mi accarezzano il muso con le mani tremanti, mi chiamano con nomignoli affettuosi, mi guardano con occhi smarriti, sento un senso di scoramento nella loro voce. Mi spalmano una crema sulle dita e sulla zampa che mi duole; mi coccolano, capisco che vorrebbero togliermi quel dolore che mi tortura; ma non ci riescono.
Li guardo con affetto, seguo con gli occhi i loro movimenti, come per imprimerli bene nella memoria. Sento oscuramente che sto per avviarmi lungo un sentiero sconosciuto, mi attende un viaggio di cui ignoro la destinazione. Spero solo che il cammino non sia troppo difficile e che possa rivedere il mio amato fratello per correre con lui nelle praterie infinite del cielo.

 

Anche noi abbiamo un'anima.

 

La vostra amica,

Lili